giovedì 28 marzo 2013

Sento il freddo

Io ci provo.

Cosa fai quando qualcosa di più grande di te, di tutti, di così inspiegabile, spaventoso, pietrificante, ti piomba addosso? Cerchi di resistere.
Le cose cambiano, le priorità diventano altre, la realtà prende un'altra piega solo a causa degli eventi. Tutto è diverso, tu ti ritrovi diverso.
E questo fa paura, spaventa.
Ogni luogo, ogni odore, ogni libro, ogni canzone provoca un ricordo. Un ricordo che fa male.
Prima è una fitta allo stomaco, poi sale, verso il cuore, lo fa pulsare in modo accelerato fino ad arrivare alla gola e rimanere lì. Per un po'.
Se sei con gli altri ti costringi a far finta di nulla. Se sei da solo quel pugno, quella stretta, sale, da sola, fino al viso, provocandoti un pianto silenzioso, caldo, assente.
Il crollo può arrivare in qualsiasi momento. Non chiede il permesso, non si preoccupa che tu sia a casa, in biblioteca, fuori con gli amici, che tu stia lavorando o dormendo. E' una scossa che ti desta da qualunque cosa.
Solo una componente può aggravare il tutto. La solitudine. Ma attenzione, non la solitudine intesa più profondamente, quella che ti fa percepire il tuo io lontano dagli altri, distaccato, intangibile. E' qualcosa di più spicciolo. Solitudine fisica. Assenza di altre persone nella stessa stanza, mancanza di contatto umano.
Per questo ricerchi sempre la presenza. Va bene anche se si tratta di sola presenza. Non c'è bisogno di essere accuditi, consolati, ascoltati, accarezzati. Non c'è ne bisogno. Non c'è nulla più da dire o da fare. Basta stare con qualcuno per far sì che quello crollo ponderale possa rimanere in parte soffocato.
E' brutto, davvero brutto, egoistico usare in questo modo le persone. Credono che tu voglia la loro vicinanza perchè ti fa stare bene, perchè magari possono aiutarti. A tirare fuori qualcosa, a distrarti, a darti calore per farti dimenticare quella sensazione di freddo, di spento, di morto.
Ma non è così. E' solo una questione di egoismo, di voler per un po' salvaguardare se stessi per non crollare definitivamente, così tante volte in una sola giornata.
In un certo senso cerchi anche di aiutarti da solo. Di oggettivizzare il dolore. Di cominciare ad essere consapevole che c'è e che rimarrà. Per sempre, non andrà più via. Potrà magari cambiare forma, non lo so, ma comunque rimanere lì.
La concezione di per sempre fino ad ora non l'avevo mai presa in considerazione. Non mi è mai importato dei per sempre. Solo perchè considero tutto durevole finchè c'è e ti fa star bene.
Ma così, all'improvviso, senza salutare, senza dirsi quello che si ha dentro, no. Non l'avevo mai considerato, no.
Ed ora?
Sopravviveremo tutti a tutto.
Sopravviveremo.



N.B. Volevo specificare che questo non vale per tutti. Ci sono le persone, poche persone, che sanno farti stare bene. Sono fortunata.

domenica 3 marzo 2013

«Il titolo potrebbe essere porco dio»

Il titolo potrebbe essere porco dio, così le aveva detto.

Domenica mattina.
La domenica, a Siena, piove sempre. Sfidando le leggi della morale e della fisica, accade questo. Puntualmente.
Quella mattina si era svegliata, piuttosto presto per essere una domenica mattina. Aveva aperto gli occhi e guardato verso la finestra. Entrava luce. 
"Strano", si era detta fra se', "vedrai che se mi alzo e mi affaccio fuori per controllare, sicuramente sarà il faro di un ufo, un lampione spostato e messo davanti alla finestra da qualche studente che vagava ubriaco la scorsa notte, un pezzo di meteorite che è caduto in Russia gli scorsi giorni e ha deviato fino a finire davanti ad una finestra dall'altra parte del mondo. Ma non il sole, è impossibile. Mi rimetto a dormire".
Dopo dieci minuti riaprì gli occhi, un raggio di luce le entrava dalla fessura che stava tra lei e il lenzuolo.
"Va bene, ho capito, mi alzo".
Andò verso la finestra, socchiusa. 
Fece attenzione a non inciampare nei vestiti che si era tolta quattro ore prima, di ritorno dalla Corte.
Ancora più attenzione mise nel non spalancare troppo la finestra, troppa luce avrebbe svegliato la compagna di stanza, che invece a ballare ci era andata, sì, ma al Vanilla.
"Cazzo, c'è il sole davvero. Devo uscire". (Imperativo categorico, pensò fra se').
Rimase un po' a guardare il cielo terso e il meraviglioso panorama che quella città, baciata dal sole (cioè molto poco spesso d'inverno), sapeva offrirle. Oltre la mente, anche il corpo cominciò a risvegliarsi.
Ripensò alla serata.
Aveva bevuto, vino rosso, sì.
Poi pensieri sconnessi.
"Cazzo, non mi sono nemmeno pulita le labbra. Saranno ancora viola. Se mi becca qualcuno faccio una figura di merda".
"Cazzo, quella cogliona mi ha rovesciato addosso il vino mentre ballavo. Come mannaggia la miseria si tolgono le macchie di vino? Devo chiamare mamma.
No, forse è meglio di no".
"Mi sa che devo fare una lavatrice".
Andò davanti allo specchio. Sì guardò.
I capelli non li lavava da quattro giorni, erano stranamente puliti. O meglio, lo sembravano.
La sua attenzione, però, venne catturata dalle labbra.
"Porco dio, nemmeno le labbra mi son lavata ieri sera? Ma che schifo".
Erano viola.
Ovviamente cominciò a pensare a tutte le persone con cui aveva parlato quella sera.
Labbra viola, allegria non ordinaria, un mucchio di cazzate.
"Ah". Sospirò.
Poi si ricordò di aver parlato con la portinaia. Così conciata aveva parlato con la portinaia.
"Che cazzo le ho detto? Che figura di merda".
Tutte le sere tornava tardi. Molto tardi. Di giorno non c'era mai. Aveva sempre due belle occhiaie nere.
"Sicuro penseranno che sono una fattona. O che batto. O comunque non cose eleganti".
Bestemmiando, andò in bagno.
Fece quello che tutti i comuni mortali fanno appena svegli. La pipì. Ma si accorse che c'erano dei problemi.
Illuminazione.
"Nooo! Mannaggia la miseriaccia! Non è possibile, non ci credo. Non è vero. Sono ancora a letto che dormo e questo è solo un cazzo di incubo".
Tirò lo sciacquone, si spoglio, ammucchiò tutti i panni sporchi e si lavò.
Poi fece la lavatrice. 
Sapeva che a quell'ora, di domenica mattina, almeno una l'avrebbe trovata libera.
Fu così.
La prima cosa che andava nel verso giusto. L'unica.
Tornò sù, in camera.
Si sedette sul letto e cominciò a riflettere. Riflettere è forse una parola troppo elegante per riassumere tutte le bestemmie, che accompagnavano le frasi, che andavano a formare i pensieri, che rimbombavano nel suo cervello.
"Ma mannaggia a quella Madonna schifosa, non è possibile prendersi la candida. Non ho fatto sesso ultimamente. Averlo fatto e essermela presa, bè, almeno sarebbe stato frutto di qualcosa di bello. Però, Dio immondo, non è possibile che mi devo prendere la candida nei bagni di lettere. Ma perchè? Perchè?".
Cercò di stare calma.
Si calmò. Un po'.
Tentò di ricordarsi quanto le era costata la cura, l'ultima volta che se l'era presa.
"Allora, concentriamoci. Quanto cazzo era costata quella marea di cose che mi s'ho infilata per una settimana... No! 50euro, no...".
La settimana successiva aveva in programma di andare, con le amiche, a Bologna per un concerto.
La settimana ancora dopo doveva andare a Firenze.
La mamma, prima di partire, le aveva dato 200 euro, e con quelli ci doveva arrivare fino a fine Marzo.
Inevitabile fu un "Porcodio", detto a fior di labbra, perchè la coinquilina stava ancora dormendo.

Bè, la mattina era cominciata bene.
Il sole di domenica a Siena doveva essere per forza uno scherzo di qualche dio sadico che per contrappasso doveva sfogare la sua malvagità.
Missione compiuta, ci era riuscito perfettamente.
Allora, prese lo zaino, l'astuccio del tabacco e corse fuori.
In Piazza del Campo il sole è fantastico.

Vaffanculo.